Non pensavo che sarei arrivata a pensarla così

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Come molti avranno intuito, non sto attraversando una fase pacifica della mia esistenza. E quando mai, direte voi.
Tuttavia, alcuni recenti episodi di cronaca mi hanno portato a riflettere sulla deriva radicale che la mia mente sta imboccando in fatto di politica estera e che, non vi nascondo, mi spaventa parecchio. Le azioni del sedicente califfato, i fatti di Ottawa, di Sydney, la strage di bambini di ieri, in Pakistan, l’impiccagione di Rayaneh – e stiamo solo parlando delle ultimissime settimane – sono una raffica difficile da metabolizzare.

Avendo letto l’articolo di Marek Halter di ieri su “Repubblica”, comincio a pensare persino io che la risposta dell’Occidente sia stata ultimamente troppo morbida. Mi si potrà obiettare che le bombe di Bush non abbiano portato a nulla. Verissimo. Che Guantanamo sia un’indecenza e che le torture a persone innocenti un’aberrazione indegna dell’essere umano. Altrettanto vero. Credo però che di fronte a tanto fanatismo non sia possibile una risposta dialogica. L’Islam che ci troviamo a fronteggiare non è neanche Islam. Non stiamo parlando di Avicenna e Averroè, troppo spesso e a sproposito tirati in ballo. Non stiamo parlando di Ibn al Awam. Stiamo parlando di un gruppo di delinquenti comuni e di terroristi con i quali mi pare evidente che ogni negoziazione sia impossibile. Il passato dell’attentatore di due giorni fa, in Australia, è semplicemente raccapricciante: assassino dell’ex moglie, colpevole di svariate aggressioni sessuali, inviava ossessivamente lettere di insulti ai parenti dei caduti in Afghanistan, era stato sottoposto a innumerevoli fermi, era ben noto alla polizia. Non aveva fatto nulla per nascondersi, eppure dal 1996 godeva dell’asilo politico in Australia e viveva da anni con un sussidio. Il primo a chiedersi come sia stato possibile è lo stesso premier australiano. Appunto, come è stato possibile? Siamo diventati troppo tolleranti per la paura di essere troppo “cattivi” o per farci perdonare di esserlo stato?

Ho l’impressione che quello che sta andando in scena quotidianamente sui nostri palcoscenici, mediatici o reali che siano, sia né più né meno che uno scontro di civiltà. Di qua il nostro Occidente, lacero, corrotto, scalcagnato, (con l’aggravante, per noi, di essere italiani, ma per fortuna esistono anche gli scandinavi e i canadesi), vecchio in termini di anagrafe, economicamente in crisi, ma soprattutto ideologicamente e idealisticamente svuotato; di là l’Oriente, giovane, giovanissimo, pieno di un’energia che rischia di travolgerci.
Mi è stato detto: “i terroristi attraggono anche i giovani occidentali o occidentali di seconda generazione perché in Europa o negli Stati Uniti questi ragazzi fanno vita grama e sperano così di cambiare il proprio destino”. Del decapitatore di ostaggi griffato Isis, con il suo invidiabile british accent, sappiamo che a casa propria faceva il deejay, un mestiere non propriamente da disperati, un mestiere da privilegiati. Esattamente come il mio che, per quanto provi un vivo disappunto nei confronti delle autorità del mio Paese, mai mi sognerei, al di là di qualche vaffanculo lanciato in rete, di ristabilire l’ordine tagliando teste come la Regina di Cuori di Alice nel paese delle meraviglie.

Quindi, cosa dobbiamo fare?
Sono abbastanza vecchia da aver sentito parecchie testimonianze di chi ha vissuto la seconda guerra mondiale ed ha sofferto sulla propria pelle i totalitarismi. Io credo che quello che sta prendendo piede in questo momento sia un totalitarismo pericolosissimo: non possiamo parlare solo di “religione estremizzata” quando si ammazzano 141 bambini, quando un kamikaze si fa esplodere questa mattina nello Yemen per uccidere 16 bambine che stanno andando a scuola, quando vengono rapite 200 ragazze nigeriane per impedire loro di andare a scuola, quando si sgozzano le figlie perché non vogliono vivere secondo regole stabilite non si sa da chi, quando si perseguitano i gay, quando si pongono all’indice gli scrittori, accusandoli di essere agenti dell’imperialismo americano sotto copertura, quando si mettono in carcere i giornalisti, quando si stuprano le ragazzine yiazide.
Sono stata in Turchia nel 2004. Ci sono tornata nel 2009 e ho trovato un Paese irriconoscibile, vittima di un salto indietro di trent’anni. Non oso pensare cosa sia oggi.

Non venite a dirmi che sì, succede anche in Italia.
È vero. Succede anche in Italia e per questo dobbiamo combattere ogni volta che si tenti di eludere la 194 a colpi di obiezione, o quando si perseguitino i diritti dei nostri simili in maniere soltanto apparentemente non violento – vedi le Sentinelle in piedi – o quando non si rispettino le regole e si nuoccia alla comunità. Lo dobbiamo a chi, prima di noi, spesso ha pagato con la vita perché noi avessimo tali, sacrosanti, diritti. E noi italiani dobbiamo in più lottare contro la criminalità organizzata e combattere perché trionfi una buona volta una cultura della legalità, così magari smetteremo di pagare le tasse in 5 su 100. Una cosa da nulla…

Da figli dell’Illuminismo e di tutte quelle lotte che, nei secoli, se non ci sono riuscite hanno per lo meno tentato di spazzare via le nebbie dell’oppressione, della persecuzione, dell’ignoranza, della superstizione, siamo chiamati ad opporci e a farlo con forza.
Questa situazione rischia di sfuggirci di mano. Non cedere al ricatto del terrore, a mio avviso, significa anche non cedere al falso buonismo del “dobbiamo capire”: a giudicare da come i terroristi perseguitino i propri connazionali nei loro stessi Paesi, non credo che la loro lotta sia soltanto contro di noi. Mi pare piuttosto la spaventosa avanzata di Mordor, delle armate del terrore, animate da una volontà distruttrice e distruttiva fine a se stessa.

Questa guerra, dicono i benpensanti, soprattutto quelli di sinistra come me, si combatte a colpi di libri e di cultura: verissimo, ma se ti fanno fuori mentre stai provando ad andarci, a scuola, o ti ammazzano i figli, perché tu, genitore, li mandi in scuole ritenute “infedeli”, non avrai più il coraggio di andarci o di mandarceli, perché non vorrai fare il martire tu stesso o peggio ancora farlo fare ai tuoi figli.
È questa la realtà. E quindi cosa facciamo? Come ci difendiamo?
Perché è evidente che dobbiamo difenderci e difendere quelle conquiste di cui parlavo sopra.
Non possiamo permetterci di sottovalutare il problema. Non più.