Il Sommo Scriba

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Sabato 5 marzo è stata per me una giornata speciale. Grazie all’ottimo amico Attilio, ho avuto il privilegio di incontrare, per una chiacchierata di un paio d’ore, il Sommo Scriba del tennis: Gianni Clerici.

Clerici è una figura fondamentale per tutti coloro che amino lo sport e il tennis in maniera particolare.
Lo è altrettanto per gli amanti del bello scrivere, per quanti ritengano cioè che il giornalismo non sia affatto la brutta copia della letteratura ma che, all’opposto, per scrivere anche due sole cartelle da leggere d’un fiato, occorra la stessa cura che il Manzoni riservò alle proprie indimenticabili pagine.

Il mio primo ricordo legato allo Scriba risale circa alla metà degli anni Ottanta. All’epoca, le telecronache dei tornei del Grande Slam (Wimbledon, Australia, Flushing Meadows e Roland Garros), come di altri tornei non inclusi nel gotha tennistico ma ugualmente interessanti (Roma Foro Italico, Montecarlo, Anversa, Stoccarda etc) erano disponibili in chiaro, su televisioni che si chiamavano Tele Capodistria o Tele Più, poi assorbite da EuroSport e da Sky. Grazie al buon gusto paterno, che rifuggiva dalle telecronache del Bisteccone Galeazzi, con contorno di Panatta, e sceglieva di ascoltare solo la coppia Gianni Clerici – Rino Tommasi (un terzetto quando vi si aggiungeva anche Ubaldo Scanagatta) conobbi questi straordinari giornalisti.

Avevo quattordici, quindici anni, frequentavo il ginnasio e vivevo a Treviso, dove mi ero trasferita dopo l’esame di terza media. Non avevo gradito lo spostamento da Milano – città dove pure mi ero con difficoltà ambientata, venendo dal mare di Sanremo – a quella deliziosa, ma che mi risultava piccolissima città del Veneto. Covavo perciò un certo rancore nei confronti di mio padre, che era, bontà sua, la ragione del nostro trasferimento a Treviso; sicché, condividere con lui la visione delle partite dei pesi massimi del tennis, commentate da Gianni Clerici e Rino Tommasi, fu uno degli elementi che contribuirono a mantenerci vicini in un momento difficile.

In un’epoca segnata dal talento di John McEnroe prima, di Stefan Edberg e Pete Sampras poi, la mia predilezione tennistica era caduta, stranamente, su Ivan Lendl. C’era un motivo: di Lendl ammiravo la straordinaria abnegazione, la forza di volontà incrollabile, grazie alla quale, privo di un qualche specifico talento (forse l’unica peculiarità del suo gioco era una fucilata di passante lungo linea di rovescio) riuscì comunque a vincere 94 tornei e ad essere numero uno del mondo per 270 settimane consecutive, superando il primato di “Jimbo” Connors, per essere, in seguito, superato dai soli Pete Sampras e Roger Federer.

Chi sia, come me, cresciuto tra la precisione delle statistiche di Rino e la straordinaria abbondanza di osservazioni tecniche e non solo di Gianni, con una sempre ben accetta spolverata di gossip (ma con classe), il tutto condito da abbondante ironia da parte di tutti, non può negare che quelle siano state alcune ore tra le meglio spese della propria adolescenza.

Nacquero a quel tempo alcune definizioni destinate a rimanere negli annali: Lendl era “draculino” o “il legionario”, quando giocava nella torrida Australia di gennaio rischiando il coccolone, Edberg era “stefanello”, Miroslav Mecir “gattone”, Pete Sampras “il fanciullo nato nella terra degli dei”.

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Da alcuni anni, purtroppo, non riesco a seguire il tennis con la stessa costanza. Sia perché viene trasmesso solo su circuiti a pagamento e la casa dove abito non mi consente di installare la parabola, sia perché non ho più il tempo di guardare le partite. Fortunatamente Gianni non mi ha abbandonato: lo leggo su “la Repubblica”, con la fortuna di potermi beare delle sue digressioni storiche così come delle cronache delle partite svoltesi il giorno prima.

Mai però avrei immaginato di poter godere del privilegio di due ore del suo tempo a me dedicate, per parlare di tennis saltando di palo in frasca, dai favolosi anni Novanta alla contemporaneità.
Nella sua casa sul lago di Como, Gianni ci ha mostrato la straordinaria libreria tennistica che possiede, comprendente un ultimo acquisto, datato 1554, ovvero il più antico libro sul tennis che sia mai stato rintracciato.
Infaticabile, Gianni sta immaginando un catalogo con tutta l’iconografia tennistica possibile e immaginabile.
Seguitando a sentirsi stretto nella sola dimensione giornalistica, sta anche scrivendo un romanzo, ambientato in quelle sue terre di confine, tra Italia e Svizzera.
Splendido padrone di casa, con la moglie Marianna ci ha accolto con un bel tè caldo (la giornata lo richiedeva) gustato nella sua accogliente dimora affacciata sul Lago di Como, mentre fuori due piccoli mammut, che però pare appartengano alla razza canina, scodinzolavano felici di vederci…

Nonostante i quarant’anni di età che ci separano, abbiamo avuto modo anche di condividere una certa nostalgia per un’epoca, quella tra la metà degli Ottanta e la metà dei Novanta, in cui gli dèi scesero sulla terra impugnando una racchetta.
Non è che oggi non sia più così: semplicemente gli dèi contemporanei sono lontani, nascosti su un Olimpo di sponsor, preparatori atletici, nutrizionisti, psicologi, manager, mogli, bambinaie…
Gianni stesso ci ha confessato di non conoscerne più nessuno personalmente, tranne “Nole” Djiokovic, che pare essere, stando a quanto dice lo Scriba, un ragazzo affettuoso e dalla grande comunicativa.
Sono finiti, insomma, i tempi in cui, durante qualche palleggio con Ion Tiriac, Gianni si faceva raccontare come avrebbe giocato “boom boom” Becker nel pomeriggio e veniva a riferirlo a noi telespettatori, creando una complicità che oggi i guru della comunicazione chiamerebbero “engagement”.

Per me è anche qualcosa di più. È il ricordo di quando, sul Montello, palleggiando sul campetto improvvisato dietro la casa della mia compagna di scuola Isabella Dupré, ci pareva di stare “come a Wimbledon”, Lendl contro McEnroe, Sabbatini contro Graf…
Anche allora, la voce che immaginavamo a commento delle nostre prodezze tennistiche era la sua, quella del Sommo Scriba.